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La panacea viene dalla rana
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COMINCIA LA SPERIMENTAZIONE UMANA
DI UN ANALGESICO PIU' CHE PROMETTENTE
C' era una
volta un principe trasformato in ranocchio. Ora sotto le spoglie del ranocchio
potrebbe celarsi un sovrano, il re degli analgesici, come è stato chiamato l'ABT
594. Se i dati nell'uomo confermeranno i risultati sperimentali, questo farmaco
potrebbe cambiare la vita di milioni di persone (negli Stati Uniti sono almeno
40) che soffrono di un dolore cronico. La molecola nell'animale è fino a 70
volte più efficace della morfina, sul dolore acuto e su quello cronico, ma priva
di effetti collaterali e incapace di indurre dipendenza: come ha commentato il
padre del nuovo farmaco, John Daly dei laboratori Abbott, sembra quasi
impossibile.
La storia inizia più di 20 anni fa. Nel 1976 Daly, allora al National Institute of Diabetes and Digestive and Kidney Diseases statunitense, studiando i composti presenti nella pelle di una rana dell'Ecuador, l'Epipedobates tricolor, si accorge che uno di essi, iniettato nel topo, fa innalzare e incurvare la coda dell'animale proprio come la morfina. La molecola, chiamata epibatidina, rivela un effetto analgesico 200 volte superiore a quello della morfina. Inoltre, rimane attiva anche quando vengono bloccati i recettori per gli oppioidi ai quali si legano i derivati dell'oppio, suggerendo che la sua attività passi attraverso strutture differenti.
Ma le rane allevate in
laboratorio smettono di produrre il composto e il rischio di estinzione degli
anfibi tropicali impedisce ai ricercatori di procurarsene altre. Come la bella
addormentata, l'epibatidina riposa nel cassetto di un freezer per oltre 10 anni,
fino a quando due collaboratori di Daly, nel frattempo passato alla Abbott,
riescono a definirne la struttura molecolare attraverso la risonanza magnetica:
è molto simile a quella della nicotina. Le proprietà analgesiche di quest'ultima
erano note fino dal 1932, ma nessuno le aveva prese in seria considerazione
perché troppo deboli, e per la dipendenza data dalla nicotina. era però
possibile sintetizzare il farmaco senza sacrificare le rane e valeva la pena di
riprendere gli studi interrotti tanti anni prima.
Daly dimostra che
l'analogia strutturale consente all'epibatidina di legarsi ai recettori
nicotinici, ma le convulsioni, e perfino la morte, indotte dalla molecola negli
animali fanno di nuovo dubitare dell'utilità della scoperta: essa rende felici
solo i ricercatori che si occupano del sistema nicotinico, che dispongono di un
agonista selettivo in più per gli studi in vitro.
Nel frattempo la Abbott
continua il suo percorso di screening di molecole nuove e, per un fortunato
caso, gli sforzi si concentrano sui farmaci per i recettori nicotinici, nel
tentativo di trovare una cura per le demenze o per il morbo di Parkinson. A quel
punto rientra in gioco Daly, attirato da uno degli oltre 500 composti in esame,
l'ABT 594.
 Si arriva così a oggi: il nuovo farmaco non interagisce con nessuna delle altre strutture potenzialmente coinvolte nel controllo del dolore (canali ionici, secondi messaggeri, proteine G, proteine di ricaptazione dei neurotrasmettitori, ciclossigenasi) ma ha un'affinità per i recettori nicotinici centrali 4.000 volte superiore a quella dell'epibatidina. Esperimenti di elettrofisiologia, rilascio di neurotrasmettitori e induzione genica confermano che la molecola agisce nelle zone cerebrali responsabili del controllo del dolore. L'effetto analgesico, studiato in tre diversi modelli sperimentali in vivo, è da 30 a 70 volte quello della molecola di partenza. Ma l'incoronazione temporanea a re degli analgesici giunge quando si dimostra l'assenza degli effetti collaterali propri dei derivati dell'oppio (primo fra tutti la depressione respiratoria) e della dipendenza anche dopo un trattamento prolungato. Il lieto fine è l'inizio di un trial clinico in Europa, in attesa dell'autorizzazione statunitense. «Se i risultati saranno confermati nell'uomo» commenta Howard Fields, professore di fisiologia e neurologia all'Università di San Francisco «ci potremmo trovare di fronte a una molecola rivoluzionaria. Tuttavia, anche se i ricercatori della Abbott sottolineano che non dà dipendenza perché non interagisce con i recettori oppioidi, non bisogna dimenticare che anche la nicotina dà dipendenza». Non resta quindi, come afferma Michael Williams, vicepresidente dell'azienda statunitense, che attendere l'estate, quando saranno disponibili i primi risultati.
Agnese Codignola
© 1998 Tempo Medico (n. 582 del 28 gennaio 1998)
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